Mahabharata

 

DRONA PARVA

 

119
La morte di Jayadratha

  Vedere morto Bhurishrava finì di scoraggiare tanti soldati e ancora una volta il panico si diffuse tra le truppe Kurava; altri, al contrario, indignati e assetati di vendetta, sentirono gli animi infuocarsi. Karna, accompagnato dalle sue truppe, arrivò come una furia e gridando minacce all'indirizzo di Satyaki si lanciò all'attacco. La battaglia si riaccese.

  Da parte sua, Krishna non era affatto contento di quella recrudescenza del combattimento.

  "Arjuna, il sole è vicino all'orizzonte," disse, "e questo pomeriggio non hai tempo di affrontare il figlio del suta. Inoltre non dimenticare che egli ha ancora con sè la shakti di Indra. Quell'arma è incontrastabile e non ti conviene affrontarlo finchè ne sarà in possesso. Andiamo via di qua, e concentriamo i nostri sforzi su Jayadratha."

  Lasciando a Satyaki, oramai rinfrancato, il compito di affron-tare Karna, i due uscirono dal teatro degli scontri. Rendendosi conto che Arjuna si stava avvicinando troppo al suo obiettivo e vedendo anche che i raggi del sole stavano perdendo la loro intensità, per cui la giornata sarebbe finita presto, i soldati Kurava si misero a mò di scudo davanti a Jayadratha e combatterono con grande impegno, anche a costo della loro stessa vita. Era la loro unica speranza di vincere la guerra.

  Oramai il sole era a pochi centimetri dall'orizzonte, in pochi minuti sarebbe tramontato.

  E mentre il carro sfrecciava in direzione di Jayadratha, Krishna riflettè: in quel modo non ce l'avrebbero mai fatta, dovevano tentare di distrarre i soldati e attaccare il nemico a distanza, in modo da evitare anche un duello contro di lui. Così risolse di chiamare la sua arma personale, il sudarshana, e gli ordinò di oscurare il cielo. Quando il disco divino si pose fra i soldati che popolavano la piana di Kurukshetra e l'astro solare, tutti credettero che il giorno fosse finito.

  I Kurava esultanti di gioia, gridarono e batterono sui tamburi, provocando un frastuono assordante, mentre gli alleati Pandava gettavano in terra le armi per la disperazione: ora, in obbedienza al suo voto, Arjuna avrebbe dovuto togliersi la vita.

  Krishna in quel momento sorrise e richiamò il sudarshana: come per miracolo la luce tornò a rischiarare la vasta pianura. Tutti rimasero interdetti, sorpresi, non sapevano cosa fare. E in quell'istante Arjuna invocò la pashupata e scagliò una freccia in direzione di Jayadratha: staccata di netto, la testa del monarca saltò in aria.

  Ora, per poter proseguire nel racconto, è necessario che ci riportiamo un attimo indietro nel tempo, al giorno della nascita di Jayadratha. In quella ricorrenza una voce eterea era rimbombata nella sala:

  "Chiunque farà cadere la testa di questo bambino a terra, morirà con la testa spezzata in cento punti."

  Così Jayadratha era cresciuto con la consapevolezza di quella maledizione che gravava sopra i suoi nemici. Ben presto era diventato un guerriero valoroso. Ed era ancora nel pieno della sua giovinezza quando il padre aveva deciso di lasciargli il trono per ritirarsi a vita meditativa in un eremo proprio vicino Kurukshetra. Si sentiva sicuro dal fatto che il figlio era praticamente invincibile e che comunque chi l'avesse ucciso sarebbe morto immediatamente.

  Era naturale che Krishna non ignorava affatto quel risvolto della vita di Jayadratha e si era premurato di raccontarlo ad Arjuna, raccomandandogli di fare in modo che quella testa non toccasse il terreno a causa sua. Il Pandava, dunque, con un continuo rivolo di frecce, la mantenne in aria e la spinse fino all'eremo del padre di Jayadratha, facendola arrivare sul suo grembo.

  Quando l'asceta si svegliò dalla meditazione, alla vista della testa del figlio sulla sue ginocchia, gridando dal dolore e dal raccapriccio, la fece rotolare in terra. Colpito dalla maledizione celeste, fu egli stesso a morire, con la testa fratturata in cento pezzi. Ancora una volta, grazie all'intervento di Krishna, Arjuna si era salvato dalla morte.

  Davanti agli attoniti Kurava, il sole brillò per pochi istanti ancora, poi tramontò; e a Kurukshetra, quel tremendo teatro di morte, scesero le tenebre.
  Tutti tornarono nei rispettivi accampamenti.

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La guerra notturna

  I Pandava erano al colmo della gioia. Non solo Arjuna era riuscito nella sua impresa, ma molti grandi combattenti Kurava quel giorno erano caduti e per di più Drona non era riuscito a catturare Yudhisthira. La loro vittoria era stata fulgida su tutti i fronti.

  Duryodhana al contrario non riusciva a darsi pace: il suo esercito aveva subito perdite incalcolabili: era stato un massacro senza precedenti, la giornata più sanguinosa da che era cominciata quella guerra. Drona cercò di consolarlo, di calmarlo con parole colme di saggezza, ma non vi riuscì. Quanti fratelli e quanti amici carissimi erano periti quel giorno... quanti lutti.

  Gridava la sua rabbia.

  "Quei maledetti stanno massacrando le persone a cui tengo di più. Non posso più tollerare oltre uno spettacolo del genere. Questa notte stessa io ucciderò i Pandava o sarò ucciso da loro," urlò perdendo ogni controllo.

  E ordinò che la battaglia venisse ripresa immediatamente, alla luce delle torce.

  Quando vennero a sapere che i Kurava si stavano preparando per tornare sul campo, i Pandava ripresero le loro armi e organizzarono le truppe. Ne venne fuori uno scenario maestoso e suggestivo: metà dei soldati reggeva le fiaccole in mano, l'altra metà si preparava allo scontro. Ingoiati dalla penombra, gli kshatriya di Bharata-varsha, dimentichi dei vincoli familiari e del desiderio stesso di vivere, si lanciarono gli uni contro gli altri, e fu una devastazione indicibile. Nel buio era difficile persino distinguere gli alleati dagli avversari, e non di rado accadeva che i soldati dello stesso esercito si combattessero e si uccidessero tra di loro.

  Fu una carneficina impietosa.

  Quella notte Drona sfogò tutta la sua ira repressa e uccise senza pietà chiunque gli capitasse a tiro; ma anche Bhima non se ne stava di sicuro inerte, e quella notte uccise molti dei figli di Dritarashtra, mentre Satyaki se la vedeva con Somadatta, a cui quel giorno aveva ucciso due figli. In special modo quest'ultimo voleva vendicare la morte di Bhurishrava; ma non riuscì nel suo intento e, sconfitto, dovette ritirarsi.

  Duryodhana dovette subito pentirsi della sua impulsività: infatti quando aveva ordinato la ripresa delle ostilità, non aveva considerato Ghatotkacha e la sua armata di rakshasa, la cui forza con le tenebre decuplicava, cosicchè di notte combattevano molto meglio che durante il giorno. E infatti il figlio di Bhima, con i suoi possenti rakshasa, fin dall'inizio seminò il terrore e la morte. Il Kurava cercava qualcuno che potesse contrastarlo, ma l'unico che avrebbe potuto competere con lui nelle arti magiche era Alambusha, il quale era purtroppo caduto. Solo Asvatthama riuscì per qualche minuto a contenerne l'irruenza, ma poi anche il brahmana fu sconfitto e Ghatotkacha dilagò: per i Kurava fu l'incubo più atroce.

  Mentre su un fronte il figlio schiacciava sotto la sua potenza fisica i Kurava, in un'altra parte del campo Bhima non gli era da meno; anche i più coraggiosi tremavano solo a vederlo. E furono dieci i figli di Dritarashtra a perire miseramente. L'anziano e nobile Bahlika aveva tentato di proteggerli, ma quella notte Bhima non rispettava nessuno: in un lago di sangue anche questo nobile condottiero perse la vita. Alla vista del corpo esanime, il Pandava stesso pianse e gli rese omaggio. Non c'era persona che non amasse e rispettasse il bravo monarca.

  Tra i generali Kurava aleggiava una forte tensione. Nessuno sapeva più cosa fare contro il rakshasa e suo padre. Duryodhana chiamò il suo caro amico Karna e gli disse:

  "Credo proprio che abbiamo commesso un grave errore a tornare sul campo di battaglia durante la notte. Questi rakshasa sono dei maestri in questo tipo di guerra, e noi non sappiamo come difenderci. Guarda, lì c'è Arjuna: se tu lo sconfiggessi i nostri soldati riacquisterebbero entusiasmo e noi potremmo rilanciare l'offensiva. Tu solo puoi guidarci alla vittoria."

  Salutato il Kurava con un cenno della testa, il figlio di Surya entrò nella mischia e si diresse nel punto in cui stava combattendo il suo odiato nemico. E con il suo arrivo, quel furore notturno si infiammò ancora di più.

  Per un breve istante Karna riuscì ad arrivare alla distanza necessaria per iniziare un duello, ma appena Krishna si accorse del suo arrivo, con mosse sapienti guidò il carro lontano dalla scena di quelle aspre lotte: non dimenticava che egli aveva con sè la shakti di Indra, che costituiva l'unico vero pericolo per il suo amico. Non cessava un momento di pensare a come privarlo di quell'arma.

  Il migliore tra i Kurava nel combattimento notturno si rivelò l'esperto Asvatthama, il quale riuscì persino a sconfiggere e a ricacciare indietro Drishtadyumna.

  Drona, intanto, non aveva ancora dimenticato il suo voto di catturare Yudhisthira, e mise in atto le sue mosse più strategiche per raggiungere il fine prefissato; Yudhisthira, d'altro canto, diede parecchio filo da torcere all'avversario. Così, alle luci delle torce, si accesero numerosi duelli fra i più grandi eroi, mentre la polvere che si sollevava dal terreno rendeva il buio ancora più impenetrabile. I carri non sfrecciavano più alla velocità dei primi giorni, ma avanzavano faticosamente, ostacolati dalle lugubri montagne di cadaveri umani e animali e dai detriti dei carri che oramai si ammassavano l'uno sopra l'altro.

  A un certo punto Karna si trovò di fronte il prode Sahadeva; un aspro duello si accese tra i due e nonostante il valore del Pandava, riuscì vittorioso il figlio del suta. Ma, sebbene questi lo avesse totalmente alla sua mercè, non lo uccise. Attaccò invece le truppe violentemente: vedendolo arrivare con cipiglio minaccioso, i soldati dei Pandava si dettero scompostamente alla fuga, e neanche l'arrivo di Satyaki riuscì a rincuorarli. Il panico era totale.

  Arjuna non si trovava lontano da quella zona.

  "Krishna, amico mio," disse, "senti queste grida. Sono i nostri soldati che chiedono aiuto, e tu sai che solo Karna può provocare tanto clamore. Conducimi da lui, voglio affrontarlo."

  Ma Krishna non era affatto d'accordo.

  "No, è meglio che tu non vada," rispose. "Non è ancora arrivato il momento giusto per un confronto. Ma presto giungerà, non essere impaziente. Io credo che Ghatotkacha sia per ora la persona più indicata ad avversarlo. Mandiamo lui."

  Ghatotkacha e Satyaki non persero tempo e si diressero con decisione verso il luogo in cui si udivano le grida.

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Ghatotkacha

  A vederlo un vivo terrore prendeva chiunque si trovasse a doverlo affrontare. Era altissimo, l'enorme corpo massiccio e possente, il viso deformato in una perenne maschera mostruosa, e i capelli rossi come le fiamme. Ghatotkacha era impressionante, e come per tutti i rakshasa, di notte la sua forza e il suo valore erano aumentati. Era arrivato insieme a Satyaki, e Karna aveva dimostrato grande coraggio e bravura nell'affrontarlo senza alcun timore; ma si trovò presto in grande difficoltà di fronte alle arti magiche del nemico. Vedendolo in pericolo, Duryodhana chiamò il fratello.

  "Dusshasana, corri ad aiutare Karna. Non vedi? Il rakshasa usa magie nere, sortilegi malefici e tranelli che non consentono via di scampo. Non lasciamolo solo."

  Proprio mentre stavano discutendo su come controbattere Ghatotkacha, arrivò il figlio di Jatasura, Alambusha, omonimo del rakshasa ucciso dai Pandava nei giorni precedenti. Si presentò al cospetto di Duryodhana e lo salutò.

  "O re, mio padre Jatasura è stato ucciso da Bhima, e ora voglio vendetta. Lasciami combattere insieme a te, e ti aiuterò a conquistare la vittoria."

  Duryodhana, che non cercava altro che un rakshasa da mandare contro Ghatotkacha, gli diede il benvenuto. Poi, spiegata la situazione, disse ad Alambusha:

  "Tu che sei esperto nelle arti magiche, vai a sfidare il figlio di Bhima e comincia a prenderti la tua vendetta uccidendolo. Se riuscirai a sconfiggerlo, ci avrai risollevato da una grandissima ansietà e ti sarai guadagnato tutta la nostra gratitudine."

  E il giovane rakshasa corse a contrastare Ghatotkacha; era questi un esperto in ogni tipo di arte marziale, ma quella notte il figlio di Bhima sembrava inferocito. In men che non si dica gli mozzò la testa e ruggendo con la forza di cento leoni infuriati, la afferrò e la scagliò sul carro di Duryodhana. Il panico si diffuse tra tutti coloro che si erano trovati ad assistere alla scena.

  E dopo quel duello Ghatotkacha tornò a concentrarsi sul massacro delle truppe. Egli trasformò il suo corpo e lo dilatò fino a portarlo a proporzioni gigantesche; gli occhi nel buio brillavano come due comete.

  Quello spirito maligno assetato di sangue in pochi minuti distrusse interi battaglioni, decine di migliaia di soldati Kurava, compreso un altro re della stirpe dei rakshasa di nome Alayudha, da tutti considerato sino ad allora praticamente invincibile. Così la scena del lancio della testa tagliata sul carro di Duryodhana si ripeteva, terrorizzando, se è possibile, il monarca ancora di più. E intanto che si udivano urla ossessive, frecce, mazze, asce, e molte altre armi piovevano incessantemente sui Kurava senza che fosse possibile capire da dove provenissero.

  La paura aveva ormai paralizzato tutti: nessuno riusciva neanche più a parlare, e i soldati cercavano solo un posto in cui nascondersi. La battaglia sembrava essere giunta alla fine. Ma forse per i Kurava c'era ancora un altro tentativo da fare prima di deporre definitivamente le armi. Le loro ultime speranze, infatti, erano riposte in Karna.

  Così, senza perdere tempo, tutti si recarono da lui a implorare protezione.

  "Uccidi Ghatotkacha," gridavano anche i più grandi eroi Kurava, "per l'amor del cielo, uccidilo, anche a costo di usare la shakti. Fallo subito, o sarà questione di pochi minuti e il nostro esercito non esisterà più."

  Karna esitava.

  Il destino gli si accaniva di nuovo contro. Tutta la sua vita era stata contrassegnata da un'unica assurda sfortuna. Sebbene davanti al suo amico Duryodhana si vantasse di poter uccidere Arjuna anche senza l'ausilio di armi speciali, in realtà si rendeva ben conto che avrebbe avuto possibilità di vittoria solo se si fosse servito della shakti, che poteva essere utilizzata una volta sola. In tutti quei giorni non aveva fatto altro che aspettare l'opportunità per usarla contro Arjuna, ma all'ultimo momento l'occasione sfumava perchè Krishna conduceva il suo devoto da qualche altra parte. E ora c'era questo tremendo rakshasa... come sempre era stato Krishna a scatenarlo contro di loro durante la notte... e in quel momento, come un lampo di luce, capì quale intelligente disegno egli avesse escogitato per dare la vittoria ai suoi amici. Ma le sue riflessioni erano continuamente disturbate dal mostro che aleggiava sopra le loro teste sputando fiumi di fuoco, gettando lo scompiglio fra le truppe.

  Duryodhana gli si affiancò, ferito e sanguinante in più punti. Il suo sguardo era allucinato dalla paura. Mai prima di allora Karna aveva visto un'espressione simile.

  "Karna, non esitare ancora, lancia la shakti e uccidi questo rakshasa, o lui eliminerà tutti noi nel volgere di pochi minuti."

  Persino Duryodhana lo esortava a gettare via la shakti destinata ad Arjuna. Ed egli non potè resistere a quelle pressioni e all'atmosfera infernale che li aveva avvolti e li stava inesorabilmente ingoiando; estrasse il pugnale dalla custodia.

  "Io userò quest'arma infallibile e ucciderò il rakshasa," disse a Duryodhana, "ma sappi che le nostre possibilità di vittoria finiscono qui."

  Detto questo, recitò con rapita devozione alcuni mantra; poi la mano destra scagliò l'arma, che saettò verso il cielo come una folgore. Il pugnale colpì l'immenso petto di Ghatotkacha mentre questi era in volo sopra di loro e penetrò nel suo corpo; si udì un boato assordante. Colpito a morte, con il cuore trafitto, Ghatotkacha si espanse ancora e quando precipitò al suolo provocò l'ultima immane carneficina della sua esistenza, schiacciando sotto il suo peso migliaia di guerrieri.

  Il colosso finalmente era morto, i Kurava potevano tirare un sospiro di sollievo. Era costato molto, forse troppo, ma nessuno se ne rammaricò. Quel tremendo incubo notturno era finito, e tanto bastava.

  A quella scena i Pandava piansero lacrime amare. Solo Krishna, che aveva ordito tutto il piano, era felice: senza la shakti oramai Arjuna non correva più alcun pericolo.

  Il combattimento continuò per un pò, poi Arjuna concordò una tregua e gli eserciti si ritirarono.

  Molti non avevano più neanche la forza di tornare nel loro accampamento e si addormentarono lì, dove si trovavano.

122
Il quindicesimo giorno

  Quel sonno ristoratore non durò a lungo. Dopo meno di due ore i primi bagliori di sole cominciarono a fare capolino timidamente, e poi sempre più decisamente inondarono il campo di battaglia di Kurukshetra.

  Tutti si levarono dai loro giacigli improvvisati e si guardarono attorno; solo in quel momento, guardando alla luce del giorno la piana, i Kurava e i Pandava rabbrividendo si resero conto di ciò che era accaduto durante la notte; le proporzioni del massacro avvenuto alla fioca luce delle torce ora risultavano immense, i cadaveri umani e animali misti ai detriti dei carri e delle armi formavano lugubri montagne rosse di sangue. Era una vista terrificante. Ma tutti irrigidirono i loro cuori e si prepararono al quindicesimo giorno di guerra.

  Tuttavia quelle armate, così grandi e piene di dinamismo appena pochi giorni prima, oramai si erano assottigliate di ben oltre la metà, e i soldati feriti e con le corazze frantumate in più punti sembravano vecchi fantasmi di gloria. Naturalmente anche Duryodhana, dal suo carro da guerra, aveva constatato l'incredibile carneficina notturna.

  "E' stata tutta colpa vostra" sbottò contro Drona. "Se tu, Bhishma, Shalya e tutti gli altri non aveste nutrito tutto questo amore per i Pandava, che vi ha sempre impedito di ucciderli, i miei fratelli e tutti questi cari amici e valorosi soldati non sarebbero morti. Voi non vi siete impegnati al massimo, altrimenti non saremmo ancora qui, ora. La battaglia sarebbe finita da un pezzo, e con la nostra vittoria."

  Drona non ribattè; guardò il Kurava con una smorfia di disgusto e preparò le milizie.

  Quando furono pronti, i due eserciti si mossero lentamente l'uno contro l'altro; la collisione segnò l'inizio delle ostilità.

  Quella mattina Drona si diede a sterminare un'innumerevole quantità di soldati: a quel punto, onde evitare ulteriori stragi, Virata e Drupada si unirono e si lanciarono contro di lui. Ma era trascorso poco tempo dall'inizio dei combattimenti, quando entrambi i generali dell'esercito dei Pandava venivano colpiti a morte.

  E attorno al luogo in cui era avvenuta tale tragedia si scatenò una furiosa battaglia. Tuttavia allorchè Drishtadyumna vide perire nel fuoco della rabbia dell'acarya oltre suo padre anche due dei suoi figli, fuori di sè per l'odio, prese un voto.

  "Che tutti i miei atti virtuosi, le mie austerità e i miei sacrifici non mi corrispondano alcun frutto, e che io mai possa vedere i pianeti celesti se oggi stesso non ucciderò Drona."

  E senza attendere oltre gli si lanciò contro, ma nello scompiglio causato dai numerosi duelli lo perse di vista e non riuscì a ritrovarlo. Fu Arjuna che lo intercettò: all'alba del quindicesimo giorno Drona incuteva più paura della morte stessa, nessuno riusciva a stargli di fronte per più di qualche secondo.

  Il figlio di Indra gli fu davanti e impugnò con fermezza il celebre arco Gandiva; e mentre questi lo usava molto abilmente con entrambi le mani, Drona invocò l'arma suprema, il brahmastra, con lo scopo di distruggere tutti i suoi nemici in un colpo solo. Una luce abbagliante scaturì dal suo arco e si diresse verso Arjuna.

  "Guarda," disse Krishna, "oggi l'acarya è talmente intossicato dalla propria potenza militare che ha perso il lume della ragione: l'arma che ha lanciato non avrebbe mai dovuto essere usata su questo pianeta, ma solo su Svarga. Fai presto, Arjuna, rispondi con un altro brahmastra, e salva il mondo intero."

  Così, consigliato dall'amico, Arjuna toccò dell'acqua per purificare il suo corpo e con rapita attenzione recitò le preghiere grazie alle quali invocò l'arma di Brahma. E una seconda cometa di luce si librò nell'aria e saettò in direzione dell'altra. Quando quei due soli si incontrarono a mezz'altezza, ci fu un boato assordante: la terra tremò e i mari si agitarono, e in tutto il mondo si avvertirono anomalie atmosferiche. Arjuna era riuscito a bloccare l'arma del maestro.

123
Drona cade

  Il suo brahmastra era stato neutralizzato, ma Drona non desistette e cercando di evitare di scontrarsi con Arjuna, continuò l'attacco su un altro fronte. I soldati, stanchi, non riuscivano più a contenerlo e, credendo inutile il loro sacrificio, fuggirono lasciandolo solo. Krishna e Arjuna videro i loro soldati scappare in preda al panico ma non poterono intervenire.

  "Dobbiamo assolutamente fermarlo," disse Arjuna rivolgendosi a Krishna.

  "Sì. Oramai siamo a un passo dalla vittoria, ma finchè Drona vive non potremo mai averne la certezza. Egli è in grado di fare qualsiasi cosa su un campo di battaglia. Hai visto come ha ucciso Virata e Drupada? Quando diventa furioso, perde ogni controllo e diventa pericoloso. Dobbiamo eliminarlo senza attendere oltre."

  Su invito di Krishna, i Pandava si ritirarono dal combattimento per pochi minuti, allo scopo di concertare un piano.

  "Drona è come Bhishma, è assolutamente invincibile" disse Krishna. 
"Conosce tutte le tecniche di combattimento ed è in possesso di formidabili armi celestiali. Ma proprio al pari di Bhishma, ha un punto debole, e cioè non mette il cuore in questa guerra. Non ha mai accettato il comportamento di Duryodhana e quindi non è contento di essere qui a combattere contro di noi. Noi potremo ucciderlo soltanto come siamo riusciti con Bhishma, e cioè facendo in modo che egli stesso perda il desiderio di vivere."

  "Ma in molte cose è diverso da Bhishma," ribattè Yudhisthira, "soprattutto perchè ha ancora dei validi motivi per continuare a vivere. In questo non è come Bhishma."

  "In realtà vuole vivere ancora perchè è affezionato al figlio," intervenne Krishna, "ma se gli dicessimo che Asvatthama è morto sono sicuro che perderebbe ogni desiderio e Drishtadyumna potrebbe affrontarlo con la certezza di sopprimerlo."

  "Ma Asvatthama non è morto," obiettò Yudhisthira, "nè sembra semplice ucciderlo. E' un provetto combattente, e persino Arjuna in questi giorni ha trovato difficoltà nel duellare contro di lui."

  "Lo so. Asvatthama non può essere ucciso da nessuno. Ha ricevuto un tipo di benedizione che gli permetterà di godere di una vita lunga quanto quella di Brahma. Ma dire a Drona che il figlio è morto rimane l'unico modo per sconfiggerlo; pertanto, dovremo farglielo credere anche se non è vero."

  Yudhisthira indugiò: la cosa non gli piaceva affatto. Uno dei suoi principi più sacri era di non raccontare menzogne, e in tutta la sua vita non gli era mai capitato di doverne dire; per di più questa sarebbe stata piuttosto grave in quanto avrebbe implicato la morte del suo maestro.

  Nonostante fosse un consiglio proveniente da Krishna stesso, non riusciva a trovare il coraggio di fare una cosa simile. Yudhisthira era così puro che il suo carro non toccava neanche il terreno, proprio come i deva che mai poggiano a terra i loro piedi; eppure appena ebbe quell'indecisione nell'obbedire al Signore Supremo incarnato, le ruote del carro toccarono il terreno. Il Pandava era senza parole.

  Ma c'era qualcuno che aveva senz'altro meno scrupoli di lui.

  "Fratello, perchè esiti?" disse Bhima. "Non cadrai affatto nel peccato perchè avrai solo fatto giustizia. Non dimenticare che ha partecipato all'uccisione di Abhimanyu e ha ampiamente concorso alle nostre disgrazie. E' vero che è pur sempre stato il nostro guru, ma ora siamo su un campo di battaglia e non possiamo fermarci davanti a niente. Se tu non hai il coraggio di farlo, lascia che me ne occupi io."

  E senza attendere risposta, il possente figlio del deva del vento tornò sul campo di battaglia e abbattè con un colpo di mazza un elefante che si chiamava Asvatthama. Poi facendosi largo fra la calca dei combattenti, andò da Drona.

  "Ascolta," gli gridò, "Asvatthama è morto. Io l'ho ucciso con le mie mani."

  Drona rimase per un momento interdetto: conosceva la natura di Bhima e non credette alle sue parole. Raddoppiò invece i suoi sforzi nel combattimento e scatenò un vero inferno fra le file nemiche, seminando la morte ovunque si volgesse. Avendo notato che Drona usava armi celestiali, i deva, accompagnati da suo padre Bharadvaja, scesero su questo mondo e gli parlarono.

  "Drona, cosa stai facendo? perchè stai sprofondando nel peccato combattendo in questo modo? Sai che non è retto usare queste armi fra la specie umana. E allora tu che sei superiore a tutti questi uomini, perchè ti stai affannando tanto? Noi vogliamo che tu abbandoni questa guerra e torni con noi a Svarga."

  Nel sentire quelle parole dalla bocca del padre, il desiderio di vivere in questo mondo gli si affievolì. Ripensò alle parole di Bhima e il pensiero che suo figlio potesse essere morto spense quasi totalmente in lui la fiamma della vita.

  In lontananza vide accorrere Drishtadyumna, l'uomo che era nato per distruggerlo e sopra di sè scorse dei presagi che indicavano la sua morte. Allora si girò in direzione di Yudhisthira.

  "Dharmaputra, tuo fratello mi ha detto che Asvatthama è morto, ma io non gli credo. Bhima può mentire. Tu no. Sei sempre stato un uomo veritiero, e a te crederò ciecamente. Dimmi, dunque, è vero?"

  Yudhisthira esitò ancora, tenendo tutti col fiato sospeso; poi disse:
  "Sì, Asvatthama è morto."

  Sottovoce aggiunse:
  "Asvatthama, l'elefante..."

  Ma nel clamore della battaglia quelle ultime parole non furono udite da Drona. E in quel momento il grande e glorioso acarya, che aveva insegnato le arti marziali ai principi dei migliori casati, perso ogni interesse per la vita, osservò con disgusto tutto ciò che stava accadendo attorno a sè. Per anni aveva convissuto a fianco dell'empietà, del peccato; ora non voleva più partecipare a quel gioco. E mentre tutt'intorno scoppiavano aspri duelli, Drona si vide accanto Drishtadyumna. Rispose ai suoi attacchi, ma il suo cuore non era più lì. Rattristato e distratto, Drona continuava a combattere quasi automaticamente, anche contro Satyaki che lo aveva attaccato con violenza. Poi sopraggiunse anche Bhima che lo redarguì con parole aspre.

  "Tu sei stato il mio maestro e a te debbo tutto ciò che so," gli gridò. "Ma proprio per questo provo un disgusto maggiore nei tuoi confronti, poichè tu, un brahmana, invece di predicare la verità e la rettitudine, hai spartito il tuo tempo con i demoni, insozzando qualsiasi cosa buona fatta in precedenza. Vergognati."

  Fu a quelle aspre parole di Bhima che Drona cessò di lottare e depose nel suo carro le armi.

  "Soldati Kurava," disse, "da questo momento io non voglio più spargere sangue. Ditelo a Duryodhana, che io come molti altri gli ho sempre dato consigli volti al suo bene. Ma purtroppo non ha mai voluto accettarli. Io sono stanco e smetto di combattere. Ora comincerò a meditare e fra breve lascerò la mia manifestazione terrena. Quanto a voi, visto che il cieco Kurava non intende sentire ragioni, continuate a lottare valorosamente e meritatevi così i pianeti celesti."

  Detto ciò, si sedette sul carro e chiuse gli occhi, cominciando a fissare i suoi pensieri sul Signore primordiale Vishnu, purificando così la mente e il corpo.

  Erano trascorsi appena pochi minuti quando Drishtadyumna vide il suo nemico giurato seduto sul carro privo di armi. Incurante del fatto che era seduto nella posizione yoga e che fosse sprofondato nei pensieri del Supremo, gli saltò sopra come un grande rapace, e mentre tutti lo scongiuravano di non farlo, con un possente colpo di spada lo decapitò. Nell'istante in cui la testa fu separata dal tronco, tutti videro una scintilla di luce, l'anima spirituale, uscire da quel corpo e salire in cielo.

  Mentre amici e nemici lo rimproveravano, Drishtadyumna se ne stava ancora sul carro di Drona, con la spada in una mano e la testa nell'altra, inzuppato di sangue, simile a Yama stesso nell'atto di massacrare le entità viventi. La profezia si era avverata, il suo giuramento anche.

  Bhima fu uno dei pochi a esultare; con trasporto lo abbracciò e insieme danzarono in grande estasi.

  "E quando Karna e Duryodhana e tutti i suoi fratelli saranno morti, amico mio, danzeremo ancora, felici di aver liberato il mondo dall'assillo di questi asura."

  Bhima disse queste parole a Drishtadyumna con così tanta allegria che sembrava quasi che cantasse.

124
La rabbia di Asvatthama

  La notizia che Drona era morto si diffuse velocemente in ogni parte remota di Kurukshetra. Ci volle del tempo prima che tutti ci credessero. E i Kurava si ritirarono disordinatamente dal campo di battaglia, lasciando i nemici padroni di quel tragico palcoscenico di morte.

  Duryodhana era stato tra quelli che aveva assistito impotenti alla scena. Non poteva crederci: l'invincibile Drona, il maestro di tutti i più grandi guerrieri del mondo, sul quale si fondavano le sue speranze di vittoria, era caduto a Kurukshetra per mano del figlio di Drupada. Fu un brutto colpo per lui.

  Su un fronte lontano, Asvatthama combatteva con ardore, ignaro della morte del padre. Quando vide l'esercito che si ritirava senza apparenti motivi, tornò agli accampamenti. Vide i generali riuniti e sul loro viso riconobbe una profonda tristezza. Ma nessuno ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi.

  "O re, amico mio," disse allora rivolgendosi a Duryodhana, "cos'è accaduto di tanto grave? perchè le truppe si sono ritirate anzitempo? e perchè voi sembrate in preda alla disperazione?"

  Tuttavia sembrava che nessuno avesse intenzione di rispondergli. Infine, giacchè Asvatthama insisteva, fu Kripa a raccontargli tutto nei particolari. Appena apprese come i Pandava avessero tratto in inganno il padre con la falsa notizia della sua morte e come Drishtadyumna avesse approfittato della sua meditazione per colpirlo, la rabbia dell'impetuoso brahmana divampò come un fuoco. E giurò vendetta.

  "Cosa aspettiamo?" disse agli altri. "Torniamo subito sul campo e distruggiamo i nostri nemici, che si sono macchiati di un crimine senza precedenti."

  Galvanizzati dalla furia di Asvatthama, tutti ripresero coraggio e si riversarono ancora nella piana insanguinata, gridando come ossessi.

  Quando vide i nemici tornare, Yudhisthira si chiese come avessero fatto a riprendersi così presto da un colpo tanto duro come la morte di Drona.

  "Non è difficile capirlo," ribattè Arjuna. "Prova ad immaginare quale può essere stata la reazione di Asvatthama. Credo proprio che ora dovremo impegnarci a fondo; io lo conosco bene: quando è arrabbiato diventa molto pericoloso. E credo di sapere chi sarà oggetto principale della sua rabbia."

  E i Pandava si prepararono a ricevere Asvatthama e a proteggere Drishtadyumna.

  Nel frattempo i Kurava, guidati dal brahmana, procedevano minacciosamente: sembrava di assistere all'ira del mare in tempesta, allorchè i suoi flutti avanzano aggressivi, dando l'impressione di voler avvolgere nelle loro spirali di morte ogni cosa. In quel momento il cielo si oscurò, e tuoni ostili incupirono l'atmosfera, che vibrò quasi che un esercito di folletti maligni stesse per materializzarsi e scatenare una guerra demoniaca.

  Come per magia i Pandava scorsero all'orizzonte una massiccia muraglia prendere forma e apprestarsi rapidamente; pochi secondi dopo capivano che si trattava di armi micidiali che stavano per abbattersi su di loro, come se all'improvviso milioni di guerrieri stessero per scagliare contemporaneamente le loro armi. In pochi secondi fu il massacro; i soldati Pandava cominciarono a cadere a centinaia, martoriati in più punti del corpo. Davanti a quel misterioso portento, persino Yudhisthira fu colto dal panico.

  "Questa è sicuramente opera di Asvatthama," disse. "Egli vuole vendetta. Prima aveva stima di noi, e per questo combatteva tiepidamente. Ma dopo ciò che abbiamo fatto al padre, ci odia e ci distruggerà tutti. La guerra è persa, non abbiamo più speranze. Salvatevi, che tutti tornino alle loro case!"

  Ma il sorriso di Krishna tranquillizzò tutti.

  "No, non dovete temere. Io conosco bene quest'arma. E' la mia narayana-astra. Non può essere contrattaccata in alcun modo, e nessuno può resisterle; tuttavia non colpisce chi non ci si opponga. Al contrario aumenta la sua forza e la sua intensità quanto più si cerchi di resisterle. Prostratevi tutti, toccate il terreno con la fronte, rendetele omaggio e sarete salvi."

  Tutti fecero come Krishna aveva detto; tutti meno Bhima. E mentre gli altri si chinavano in quel tornado di fuoco, egli gridò, diventando paonazzo dalla rabbia:

  "Io non mi piegherò mai a nessuna arma, umana o divina che sia."

  Era una scena incredibile: in tutta Kurukshetra Bhima era l'unico rimasto in piedi, e ruggiva come un leone inferocito, mentre tutt'intorno a sè si scatenava la potenza della narayana-astra, che concentrò un vero vortice di fuoco intorno a lui. Coperto di frecce come un porcospino, Bhima era il ritratto stesso della gloria guerriera. Era uno spettacolo a vederlo. Per effetto delle armi che lo colpivano, tutt'intorno a lui si era sviluppato un tremendo calore che sembrava dover divampare a ogni momento. Rinfrescato dalla varuna-astra che Arjuna gli mandò per refrigerarlo, nonostante l'intenso dolore e il pericolo di morte, Bhima non mostrava alcuna intenzione di chinarsi a terra.

  Arjuna, Drishtadyumna, e altri suoi amici riuscirono a salvarlo spingendolo a forza in giù, appena in tempo perchè non fosse divorato dall'occhio del ciclone. La narayana-astra passò sopra di loro senza recare danni rilevanti.

  Avendo visto fallire quell'ennesimo tentativo, Duryodhana si sentì prendere dal panico e gridò:

  "Asvatthama, manda ancora quell'arma e distruggi gli assassini di tuo padre."

  "Non posso," rispose lui. "Come tutte le armi celestiali che sono proibite nel mondo degli uomini, la narayana-astra può essere usata una volta sola, o si scatenerebbe contro di noi e ci distruggerebbe tutti."

  La battaglia infuriò ancora, tremenda come mai in precedenza. Asvatthama le provò tutte per avere ragione sui suoi avversari, ma vide fallire ogni tentativo. Frustrato e disperato, uscì dal campo di battaglia e andò a cercare consiglio da Vyasa.

  "Questa guerra ha dell'incredibile: Bhishma e mio padre sono caduti, migliaia di guerrieri considerati invincibili sono morti e tutte le mie armi hanno fallito: perchè è potuto accadere tutto ciò? com'è stato possibile? come possono i Pandava vincere sempre?"

  Vyasa gli rivolse uno sguardo misericordioso, poi disse:

  "Questa verità mi è sempre stata chiara fin dal primo giorno, e non l'ho neanche taciuta. A tutti voi ho sempre detto che i Pandava non possono essere distrutti da nessuno perchè Krishna è con loro, ed Egli non è un uomo comune: è la Persona Suprema, il Dio che crea e distrugge tutto ciò che esiste. Il Suo volere è incontrastabile, ed Egli vuole che i virtuosi Pandava vincano. Perciò, senza ombra di dubbio, essi trionferanno. Ma tu sei uno kshatriya e il tuo dovere è di combattere. Torna sul campo, dunque, e agisci sempre secondo ciò che è giusto."

  La sera scese, e calò un velo pietoso su quell'ennesimo massacro.

  I sopravvissuti degli ultimi quindici tremendi giorni si ritirarono nelle proprie tende, esausti.

  Ma mentre i Pandava dormivano tranquilli, Duryodhana non riusciva a darsi pace.

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